Regia di Elia Moutamid.
Documentario, - Italia, 2020, durata 56 minuti.
Elia Moutamid, tornato a Brescia (dove vive fin da bambino) dal Marocco dove si era recato per fare i sopralluoghi del suo prossimo documentario, si trova bloccato nella propria abitazione dalla pandemia. È un’occasione per riflettere su stesso e sul mondo che lo circonda.
UN FILM AUTOBIOGRAFICO CHE RIFLETTE SULLE DINAMICHE UMANE, URBANE E SOCIALI AL TEMPO DELLA PANDEMIA
In apertura va chiarito il senso del titolo. “Kufid” non è la denominazione marocchina del Covid ma una sorta di entità asessuata che ha come spinto il regista a ripensare la propria condizione esistenziale.
Questo documentario ha una molteplicità di sfaccettature grazie alla consapevolezza di Moutamid del profluvio di opere, più o meno riuscite, sul lockdown. Certo, c’è anche quello ma letto come un periodo di sospensione in cui, in un tempo abbastanza breve, si è passati dalla spontaneità delle reazioni collettive e comunitarie (nonostante le distanze) ad accorgersi che alcuni auspici (“ne usciremo migliori”) erano destinati a dissolversi.
Perché poi, all’interno di questi 60 minuti, si costruisce l’attesa per un film a venire, quello per il quale Moutamid era andato a fare i sopralluoghi. Dalle immagini proposte (e anche dalle riflessioni sull’architettura della campagna padana) si avverte come il suo sguardo sul degrado urbanistico e sulla pretesa di risolverlo abbattendo gli edifici che fanno parte della storia delle persone, per sostituirli con palazzoni più o meno anonimi, sia acuto e assolutamente consapevole.
Non manca anche un pensiero complesso sul significato della parola ‘integrazione’. La voce narrante è quella dello stesso regista ed alterna un accento bresciano docg all’arabo. Già in questa scelta si avverte come quella della sua famiglia sia stata una decisione lungimirante: integrare linguisticamente il presente con le radici culturali. Perché in fondo questa è la narrazione di un uomo che si interroga, che non nasconde le contraddizioni che tutti noi viviamo ma le riconosce partendo da una base solida.
Quando poi dichiara di vivere come una costrizione il doversi manifestare come “musulmano moderato”, fa venire alla mente ciò che affermava un maestro dell’autoanalisi in forma di spettacolo: Giorgio Gaber. In “Io se fossi Dio”, a proposito della Brigate Rosse cantava “mi hanno tolto il gusto di essere incazzato personalmente”. Le BR come l’ISIS, con l’uso della violenza, avevano ottenuto il risultato di impedire la libera manifestazione del pensiero che non poteva più essere legittimamente ‘contro’, pena l’omologazione con il terrorismo. È il peccato originale di ogni integralismo e Moutamid fa bene a ricordarcelo.
(fonte - https://www.mymovies.it)
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