CINEMA TEATRO FILO


GIO 28 GIU - 21.00
VEN 29 GIU - 21.00
SAB 30 GIU - 21.00
DOM 1 LUG - 21.00
LA STANZA DELLE MERAVIGLIE
Regia di Todd Haynes.
Un film con Julianne Moore, Oakes Fegley, Millicent Simmonds, Jaden Michael, Cory Michael Smith.
Avventura - USA, 2017, durata 120 minuti.


1977, Minnesota. Il dodicenne Ben è preda di un incubo ricorrente in cui viene inseguito da un branco di lupi. Una notte, cercando tra gli oggetti della madre, trova il vecchio catalogo di una mostra newyorkese sulle origini dei musei: i cosiddetti gabinetti delle meraviglie. C'è anche un biglietto, dentro, con l'indicazione di una libreria. E poi c'è un fulmine, che entra dal cavo del telefono e cambia la vita di Ben. 1927, New Jersey. Rose è una ragazzina che vive sola con il padre, isolata per via della sua sordità. La anima una grande passione per un'attrice, una diva del muto, di cui colleziona ogni notizia. Ben e Rose, a distanza di tempo, compieranno lo stesso avventuroso viaggio attraverso New York, guidati dal comune bisogno di conoscere il loro posto nel mondo.


L'opera grafico-letteraria di Brian Selznick nasce, nel caso di Hugo Cabret come in questo, intrisa di cinema, come fulminata in origine dalla meraviglia del suo dispositivo e percorsa interamente dalla scia elettrica di tale scossa. Per questo è giusto e necessario che siano dei registi cinefili a gestire il passaggio delle sue storie dalla carta allo schermo, loro approdo naturale.

Haynes giura fedeltà al romanzo, arruolando lo stesso Selznick come sceneggiatore, e lavora al servizio del racconto, illuminandone le pieghe del senso, costruendo corrispondenze e rimandi, visivi primi di tutto, che vanno oltre il libro e il film e guardano indietro, ai suoi esordi di regista (si pensi a tutto il discorso visivo sul modellismo, che parte dalle costruzioni di carta nella cameretta di Rose, passa per la vetrina del farmacista, raggiunge il climax nel grande panorama in scala della città e nella sequenza di bricolage con la quale viene raccontata la vita di Daniel, ma ricorda anche il primissimo esperimento di Todd Haynes, "Superstar").

Anche lui, cioè, guarda alle origini del suo percorso, a quella pratica, la cinefilia, che fa del suo agente un "curatore" in senso pieno, collezionista e appassionato. D'altronde, definendo un museo come un luogo in cui gli oggetti vengono disposti in mostra in modo da raccontare una bellissima storia, Selznick offre simultaneamente una definizione di "film", accentuando in essa il ruolo del montaggio, che in Wonderstruck è una pietra angolare dell'insieme (l'altra, naturalmente, è la musica).

Si potrebbe discorrere per ore delle suggestioni fornite dal film, della ripresa dei topoi melodrammatici della condizioni di orfano e dell'agnizione, o della sua costruzione del film nelle forme dell'omaggio ma anche della rivisitazione contemporanea, fortemente creativa, del cinema muto: la ricchezza di Wonderstruck è tale da superare lo spazio di un armadio, di una stanza, di sicuro di una recensione. La visione, d'altronde, richiede anche un po' di pazienza (la stessa che la nonna chiede a Ben) perché gli elementi del racconto, per tornare, hanno bisogno del loro tempo e di seguire il loro percorso, ma l'esperienza è così appassionante che si vorrebbe che le luci non si accendessero mai. Si vorrebbe restare al buio, dentro al museo, con Ben e Jamie e Rose.

(fonte - https://www.mymovies.it)

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