CINEMA TEATRO FILO


THE GREATEST SHOWMAN
Regia di Michael Gracey.
Un film con Hugh Jackman, Michelle Williams, Zac Efron, Rebecca Ferguson, Zendaya, Keala Settle.
Genere Musical - USA, 2017, durata 110 minuti.

Inizio Ottocento. Phineas Taylor Barnum è il figlio di un sarto che muore catapultando il bambino nel buio di un'infanzia dickensiana. Ma P.T. crede nel sogno americano di inventarsi un'identità nobile ritagliata dalla stoffa dei sogni, e il suo amore di gioventù, la dolce Charity, abbandona i privilegi della propria casta bramina per seguire le visioni di quello che diventerà suo marito e il padre delle loro due figlie. Per Barnum, convinto che ogni progetto debba essere realizzato "cinque volte più grande, e dappertutto", nulla è abbastanza: non il Museo delle stranezze che edifica nel centro di Manhattan per lo sgomento (e la curiosità morbosa) dei newyorkesi, non il circo che porta il suo nome in cui si esibiscono la donna barbuta e il gigante irlandese, il nano Tom Thumb e i gemeli siamesi. Perché quando P.T. Barnum "sta arrivando", lo fa come un ciclone inarrestabile che travolge ogni cosa al suo passaggio: steccati e ipocrisie, ma anche legami e sentimenti.


The Greatest Showman sceglie di interpretare il personaggio di Barnum scansando le sue controverse sfaccettature reali - impresario, businessman, editore, politico, filantropo - e concentrandosi sull'impeto dominante della sua vocazione di entertainer.

 P.T. diventa così il simbolo dell'urgenza vitale e del diritto inalienabile di calcare il palcoscenico e fare spettacolo, anche mescolando arte popolare e arte nobile. Sotto questo profilo non c'è scena più efficace nel film della danza fra una trapezista di colore e il partner d'affari di Barnum, il rampollo dell'alta borghesia newyorkese Philip Carlyle, che raffigura il rapporto fra strati sociali (e fra cultura "alta" e "bassa") come un movimento interdipendente di elevazione e di discesa (con tanto di cadute rovinose) sviluppato lungo un asse verticale, ma anche lungo una tariettoria ellittica che avvicina e allontana i personaggi con ciclica regolarità. Lo sviluppo ellittico (anche a livello di sceneggiatura) attraversa tutta la narrazione filmica, rendendo quella di Barnum (non a caso l'inventore del circo a tre piste, fatto di cerchi occasionalmente intersecabili) una cosmologia i cui i pianeti orbitano l'uno in relazione all'altro (alcuni convinti di essere il centro del proprio universo), seguendo una linea obliqua che li accosta e poi bruscamente li separa, e facendo del momento in cui maggiormente si accostano (un bacio, il tocco di una mano) lo stesso che li scaglia il più lontano possibile gli uni dagli altri.

La storia di P.T. Barnum narra anche la sua ricerca ottusa e senza fine dell'approvazione sociale e artistica, determinata dall'incapacità di prescindere dal giudizio degli altri. E Gracey sceglie il cast perfetto per raccontare in questa chiave i due protagonisti maschili: Hugh Jackman, maestro nell'arte di recitar cantando (come già dimostrato ne I miserabili) e dotato di grande carisma naturale nei panni dell'irresistibile Barnum, e Zac Efron, segretamente malinconico e afflitto dalla paura che il suo successo sia un risultato di miscasting, nei panni di Carlyle, nato nel privilegio ma incapace di trovare il proprio posto nel mondo.

Michael Gracey, regista di The Greatest Showman, è lui stesso un po' Barnum: self made man australiano come la star del suo lungometraggio d'esordio, giovane e ambizioso, intento a lasciare il segno nel cinema hollywoodiano come nel musical anglosassone (con ben presente il conterraneo Baz Luhrman), patendo da un solido background come regista pubblicitario e realizzatore di effetti speciali - cioè mago. Gracey ha preso una sceneggiatura firmata da un peso piuma come Jenny Bricks e l'ha fatta riscrivere da un peso massimo come Bill Condon, autore di adattamenti cinematografici di musical di enorme successo (Chicago, Dreamgirls, La bella e la bestia) ma anche di un geniale piccolo film sul cinema, Demoni e dei, premio Oscar alla sceneggiatura.

Le canzoni di The Greatest Showman sono scritte dal duo di trentaduenni Pasek & Paul (Oscar per City of Stars di La La Land) e composte da Johnn Debney (Oscar nomination per la colonna sonora de La passione di Cristo).
Ma resta evidente che le intuizioni visive di Gracey superano di gran lunga le indicazioni dei brani musicali che virano spesso, per testo e melodia, verso sensibilità melodrammatiche alla Glee.
The Greatest Showman è spettacolo, frenetico ed eccessivo come un tripudio circense, potentemente ritmato e magnificamente orchestrato, mistificatore come deve essere ogni show (e come è il cinema, dai tempi della lanterna magica), ma soprattutto accessibile ad ognuno di noi. Perché questo Barnum legittima soprattutto l'aspirazione di ognuno di noi ad entrare in scena, che sia da prima ballerina, o da alberello della scenografia.

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